martedì 12 novembre 2013

The Walking Dead - Episodio 4.5: L'inferno

Questa volta cominciamo dalla fine, perché quando pensi di poter tirare il fiato, zac! I subdoli sceneggiatori infilano un colpo di scena mozzafiato come mostrarci il Governatore che guarda la prigione. Tanto per non farci stare tranquilli fino alla settimana prossima. Tanto per farci capire che no: il peggio non è passato.
Ce lo ha confermato la puntata di ieri sera, incentrato sulla contrapposizione di due mondi che poi si fondono in un unico... Inferno.
Due mondo, anzi due inferni: quello fuori dalla prigione, dal “rifugio”, da “casa”, tormentato dai sensi di colpa, e quello dentro, in cui si lotta per la vita fra le mura in qualche modo domestiche di una prigione che tiene fuori gli zombie ma tiene prigionieri i malati.

Hershel è la guida di questo mondo: saggio, comprensivo, altruista, è entrato nella zona di quarantena rischiando la vita e si prende cura non solo dei suoi pazienti come meglio può, ma anche del morale degli altri (la battuta sugli spaghetti è forse la prima che gli sentiamo fare in tutta la seria) e delle apparenze: non vuole che i defunti vengano “trattati” dove ci sono gli altri pazienti. Non vuole che la gente veda in faccia la morte, tantomeno quella che si risveglia. È paterno - il suo breve dialogo con Lizzie ci ricoda che è prima di tutto un padre - e ha scelto di tenere vicino Glenn, figlio putativo, per salvaguardarlo e tenerlo d’occhio costantemente, per distrarlo e dargli dei motivi per tenere duro. 

E per proteggere Maggie, che da lui ha sicuramente imparato ciò che conta: resistere. Resistere finché è necessario.  Così, ecco Maggie che da sola cerca di diminuire la pressione degli zombie sulla recinzione, per salvaguardarla e salvaguardare quello che resta del mondo degli uomini... O dell’inferno che è diventato. L’inferno di paura e sensi di colpa, che spinge Rick a dire la verità su Carol a Maggie ma anche a chiederle un parere: avrebbe fatto la stessa cosa? È evidente come Rick abbia bisogno di conferme. Dice a Maggie di non dubitare di se stessa, ma è di sé che ha dubitato, mentre guidava verso casa. E sono i suoi, i figli che cerca di tenere lontano da quello che succede all’inferno. O almeno ci prova.

Proprio come Hershel prova a salvare tutti gli infetti, anche se sa che non può farlo. Deve arrendersi all’evidenza quando uno dei suoi pazienti muore davanti agli altri e Sasha lo aiuta a metterlo sulla barella in modo che se ne possa occupare lontando dallo sguardo degli altri malati. E quando lo vediamo occuparsene, capiamo perché tiene tanto a tenere segreto quel momento: sarebbe come ammettere quello che succede là fuori. Ammettere che la morte torna in vita, ammettere che “un’anima triste può ucciderti più in fretta di un germe”. Hershel cerca solo di tenere l’orrore lontano dagli altri: pensa ancora che ci sia un motivo. Ha ancora fede. Quella che manca a Rick. 

Quella che finisce per far abbassare la guardia a Hershel, permettendo agli zombie di proliferare nella zona di quarantena. Il dottore lo aveva avvertito, prima di morire. Ma Hershel ha dovuto passarci, per capire davvero. Il caos regna sovrano, sempre e comunque, anche quando uno meno se lo aspetta. Magari servirà a far capire a Lizzie che gli zombie non sono più esseri umani. O magari servirà solo a scatenare il panico. Quando gli zombie sfondano la recinzione, ne abbiamo la conferma: la prigione non è più un posto sicuro, ma allo stesso è l’unica casa che ci sia. Anche se gli zombie, là fuori, sono troppi. 


Parafrasando Romero: “Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla Terra”... o la Terra si trasformerà nell’inferno. È il momento di smettere di cercare la tanto agognata normalità. È il momento di guardare tuo figlio in prima linea contro gli zombie. È il momento di rompere le barriere, di accettare che l’orrore è più forte della fede. È il momento di scegliere, di riprendere il controllo, di ricominciare a sperare, di appoggiarsi gli uni agli altri. È il momento di smettere di pensare al mondo di prima... Ma di continuare ad essere umani

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